E’ risarcibile il danno da perdita della vita?
Il danno non patrimoniale iure hereditatis è quel danno che sorge a seguito della morte di un soggetto, entra a fare parte del suo patrimonio ereditario ed è astrattamente trasmissibile ai suoi eredi.
Tale tipologia di danno è stata interpretata in modo oscillante dalla giurisprudenza, che ne ha a volte riconosciuto il risarcimento, altre volte no, a seconda della diversa configurazione data allo stesso.
Il caso che ha interessato la Corte di Cassazione, la quale se ne è occupata con sentenza n. 8580 del 2019, è quello del decesso di un lavoratore in seguito alla contrazione di mesotelioma pleurico, dovuto all’inalazione di fibre di amianto sul luogo di lavoro.
In particolare, durante l’istruzione probatoria, sono state ritenute accertate:
- La nocività dell’ambiente di lavoro;
- L’esposizione del dipendente all’inalazione delle fibre di amianto;
- Il nesso causale tra tale condizione di nocività e l’evento morte;
- L’inadempimento dell’obbligo di prevenzione sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite all’epoca dei fatti.
I giudici di merito, nel liquidare tale danno non patrimoniale, avevano quantificato lo stesso facendo applicazione delle c.d. “tabelle di Roma”, utilizzare per la liquidazione del danno biologico da invalidità permanente.
I giudici, in tale sede, avevano proceduto alla liquidazione del danno non patrimoniale iure hereditatis individuando nello stesso le due componenti del:
- Danno morale;
- Danno da perdita della vita.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha condiviso solo in parte tale impostazione, analizzando più nel dettaglio le varie sfaccettature del danno non patrimoniale iure hereditatis.
In particolare, i giudici della Cassazione hanno infatti:
- escluso la risarcibilità del danno da perdita della vita. Per lo stesso, infatti, manca il soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio;
- ammesso la risarcibilità, ritenendolo configurabile e trasmissibile iure hereditatis, del danno non patrimoniale nelle due componenti:
- del danno biologico terminale, inteso come danno biologico da invalidità temporanea assoluta, configurabile in capo alla vittima nel caso in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo;
- Del “danno morale “terminale o catastrofale o catastrofico”, consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita, quando vi sia la prova della sussistenza di un suo stato di coscienza nell’intervallo tra l’evento lesivo e la morte, con conseguente acquisizione di una pretesa risarcitoria trasmissibile agli eredi.
La Corte, con riguardo ai criteri di liquidazione, ha operato tale distinzione:
- La componente del danno biologico ben può essere determinata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea;
- La seconda componente del danno morale, avente natura peculiare, deve essere liquidata attraverso un criterio equitativo puro, ancorché correlato alle circostanze del caso concreto, che sappia tener conto dell’enormità del pregiudizio, atteso che la lesione è così elevata da non poter essere in alcun modo recuperata.
Per quanto infine riguarda i parametri di determinazione del danno, i giudici hanno sostenuto che sia ammissibile anche ricorrere alle “tabelle di Roma” invece che alle “tabelle di Milano”.
E’ vero, infatti, che la liquidazione del danno non patrimoniale richiede una certa uniformità di trattamento nella liquidazione, e che tale omogeneità è sicuramente garantita dai criteri di liquidazione elaborati dal Tribunale di Milano.
Tali parametri, infatti, garantiscono la conformità, anche nel rispetto dell’art. 3 della Costituzione, agli articoli 1226 c.c. e 2056 c.c., dettati dal Codice Civile in tema di liquidazione equitativa del danno.