Il caso oggetto dell’ordinanza della Cassazione n. 207 del 2019 verte attorno alla fattispecie di due erronee segnalazioni effettuate al CRIF, organismo che gestisce un sistema di informazione creditizia la cui finalità è quella della tutela del credito e del consumo.
Tale ente, infatti, si occupa di controllare l’affidabilità e la puntualità dei pagamenti di tutti i soggetti che accedono al sistema creditizio nazionale, mediante istituti bancari di vario genere.
L’obiettivo principale del CRIF è quello di garantire la trasparenza nei pagamenti, evitando frodi, e di concedere mutui e finanziamenti solamente a soggetti affidabili.
Per conseguire tale scopo, è stato creato un sistema di circolarità nell’informazione, in base al quale la banca dati viene alimentata e consultata dagli stessi soggetti che vi inseriscono dati, come le banche e le società finanziarie.
Nel caso in cui un soggetto venga segnalato alla Centrale rischi per delle motivazioni ritenute illegittime, egli può rivolgersi al giudice per chiedere la rimozione di tale segnalazione, oltre che il risarcimento per l’eventuale danno subito, anche a causa della perdita di credibilità e della lesione dell’immagine.
Essere qualificati come “cattivi pagatori” può infatti causare conseguenze di non poco conto, in particolare per l’accesso al credito, soprattutto per le imprese e per tutti quei soggetti che hanno a che fare quotidianamente con gli istituti di credito.
Per quanto riguarda l’onere della prova relativo al danno, i giudici della Cassazione hanno fissato i seguenti principi:
- alla stregua dell’art. 15 del D. lgs. n. 196 del 2003, su colui che agisce per l’abusiva utilizzazione dei suoi dati personali incombe l’onere di provare specificatamente il danno subito, riferito al trattamento del suo dato personale;
- Infatti, la motivazione della sentenza afferma espressamente che “nella fattispecie dell’illegittima segnalazione alla Centrale rischi, il pregiudizio non patrimoniale non può mai essere in re ipsa, ma deve essere allegato e provato da parte dell’attore”;
- “La posizione attorea è tuttavia agevolata dall’onere della prova più favorevole, come descritto dall’art. 2050 c.c., rispetto alla regola generale del danno aquiliano, nonché dalla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità”.
L’art. 2050 c.c. infatti sancisce che “chiunque cagiona un danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”.
In capo al CRIF incombe quindi una responsabilità aggravata, dalla quale lo stesso può essere liberato solo se fornisce la prova liberatoria di aver adottato tutte le misure possibili per scongiurare il pregiudizio.
Il danno, tuttavia, deve essere provato dal danneggiato in modo specifico.
In altre parole, non è sufficiente provare la generale compromissione dell’accesso al credito e la conseguente impossibilità di espandere i propri progetti aziendali, ma occorre fornire l’esatta prova del pregiudizio subito.
Per quanto riguarda poi la liquidazione del danno non patrimoniale, la Cassazione ha affermato che esso è risarcibile, ma tenuto conto di alcune considerazioni.
Infatti, tale tipologia di danno, risarcibile ai sensi dell’art. 15 del Codice della privacy, pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli articoli 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU:
- non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, in quanto “anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex 2 Cost.2, per cui la lesione minima va tollerata, e deve essere risarcita solo un’offesa che sia concreta e almeno “sensibile”.